martedì 1 maggio 2018

Black Mirror S4: sempre qualcosa di nuovo




Dopo aver visto nel giro di un mesetto circa ben 3 stagioni di Black Mirror eri ormai convinto che la quarta stagione sarebbe stata una sorta di ripetizione di idee e concetti visti nelle precedenti chè l’universo informatico-tecnologico era stato sviscerato più o meno in ogni singolo possibile byte. 

E…ti sbagliavi. Perché se un merito devi riconoscere a questa serie – e non è l’unico – è la capacità degli autori di proporre sempre qualcosa di nuovo e stuzzicante: come dire che la sorpresa è dietro l’angolo e che la capacità di intrattenimento viene sempre confermata. 

E allora…ecco la stagione 4 di Black Mirror. 


Ma prima una premessa: la stagione è composta da 6 episodi e ne hai visti 5. Perché? Perché uno di essi non c’è stata via di trovarlo dubbato in italiano in sync. Praticamente tutte le volte l’audio era completamente fuori sincronia e ciò rendeva impossibile seguire l’Ep. 2 intitolato “Arkangel”; l’avresti potuto pure vedere in inglese, eh, ma alla fine hai deciso che preferisci la comoda lingua di Alighieri e quindi aspetterai. 

Tecnologia: varia e variabile 

La serie rimane incentrata sulla matrice di fondo consueta: tecnologia che intende migliorare la vita – a più livelli: personale per intrattenimento o lavoro o sociale ponendo ordine e razionalità - ma al contempo con dei pericoli latenti che poi finiscono per esplodere. 

E allora ecco il geniale programmatore informatico che dedica la sua intera vita alla produzione di videogame sempre più immersivi sacrificando la sua capacità di relazione e rifugiandosi in un universo virtuale da lui creato con informatica e genetica spinte (Ep. 1: “U.S. Callister”) in cui sfoga tutte le sue frustrazioni più represse; un apparecchio – il Rammentatore - che permette di scrutare i ricordi delle persone al fine di risolvere crimini oppure rigettare richieste scomode di assicurazione (Ep. 3: “Crocodile”); il “Sistema”, una App di dating virtuale che mette alla prova i possibili innamorati e li “sfida” a provocare, nel caso la scelta sia quella giusta, il loro incontro nella realtà (Ep. 4: “Hang The DJ”); la donna in ambiente apocalittico che deve scappare dai “cani” – delle apparecchiature meccaniche vagamente simili a cani reali dei quali conservano la funzione di cacciatori di prede – al fine di recuperare un “ricambio” che si rivelerà essere il meno aspettato possibile (Ep. 5 “Metal Head”); infine il visionario dei supporti informatici che trova la maniera di trasferire la coscienza degli esseri umani in altri esseri umani, in pelouche o addirittura in semplici riproposizioni olografiche prive di qualsivoglia componente fisica. 

Non ti va di andare nello specifico per ogni singolo episodio chè consigli piuttosto la visione sottolineando soltanto come davvero la varietà degli scenari sia un deciso e convincente punto di forza. 


Questioni etico/morali: quando la tecnologia pone delicati quesiti 

Ogni singolo episodio segue grossomodo la stessa struttura: una volta sorpreso lo spettatore con tecnologia avanzata e possibilità in essa insite, introduce delicate questioni di ordine morale/etico. 

Si passa così dalla possibilità di considerare delle copie digitali, condannate a vivere in un mondo che continua al di là della presenza in game del loro creatore, come veri e propri esseri viventi e pertanto volonterosi di affermare questa loro esistenza combattendo per la libertà (Ep. 1); alla pericolosità dell’utilizzo di uno scanner mentale che porti alla luce segreti che inducono il soggetto a cercare di sopravvivere divenendo un omicida (Ep. 3); alla gestibilità dei sentimenti umani – ed in particolare dell’amore – con una App per incontri apparentemente infallibile (Ep. 4); sino, infine, al tema della ammissibilità – più morale che tecnico/economica – della vita eterna attraverso una macchina che permetta di recuperare la coscienza di individui altrimenti destinati alla morte e della loro sfruttabilità a fini economici come attrazioni in quanto non “reali” esseri umani. 

Graditi riferimenti 

Sicuramente appare chiaro come gli autori di questi episodi abbiano preso notevoli spunti. 

Innegabile che il gioco creato nel primo episodio, Star Fleet, sia ispirato a Star Trek – lo dice lo stesso nome - di cui scimmiotta la prima serie senza se e senza ma; nell’Ep. 5 l’ambiente post apocalittico richiama alla mente – anche grazie alla scelta di condurre l’intero episodio in bianco e nero – Fallout e Blade Runner tra tutti e ci hai visto anche delle somiglianze tra i “Cani” e gli All Terrain Armored Transport di Star Wars con le dovute proporzioni; il Black Museum dell’episodio finale somiglia poi moltissimo ad una specie di museo degli orrori in via digitale anziché fisica. 

In tutto questo, nell’Ep. 1, arriva la automarchetta anche meritata: un “ora c’è Netflix” d’antologia; e chiaro appare pure il richiamo alla stagione precedente insito nell’Ep.6 con la citazione all’Ospedale San Juniper che davvero sa di quella Junipero già sentita. 

Finali a sorpresa…e interpretazioni non sempre facili 

L’hai già detto: tutti gli episodi della stagione hanno la stessa struttura narrativa e non fanno eccezione i finali che tuttavia si diversificano un po’ quanto a funzione nel contesto complessivo. Sono sempre a sorpresa, questo sì; però talvolta forniscono semplicemente gli elementi mancanti per comprendere l’episodio, caratteristica propria anche delle precedenti stagioni; tale altra pongono invece domande allo spettatore fin lì giunto confondendolo e aprendo la sua mente al più classico dei quesiti: “Che significa?” 

Tra i secondi va sicuramente annoverato il finale dell’Ep. 4, “Hang The Dj”, talmente sconnesso dal resto dell’episodio che l’unica maniera che hai trovato per capirci qualcosa è stato andarti a leggere l’intervista all’autore. Non molto diversa è però la chiosa dell’Ep. 5 “Metal Head” in cui la protagonista, dopo aver cercato ogni possibile via di sopravvivenza, decide di porre termine alla sua esistenza quasi all’improvviso e senza che venga fornita una spiegazione chiara dell’amaro gesto. 

Tra i finali del primo tipo vanno invece sicuramente citati quelli dell’Ep. 6 “Black Museum” in cui si comprende bene per quale motivo la protagonista si sia recata in quel luogo e quali fossero i suoi fini; aggiungi quello dell’Ep.3 che di per sé non risulta particolarmente complicato da seguire ma spiazza per la rivelazione della possibilità di utilizzo del Rammentatore anche su animali. 


Conclusioni 

Sicuramente una serie apprezzabile, come di consueto, grazie alla durata tutto sommato corretta degli episodi – 50 minuti cadauno, salvo l’ultimo che sfonda l’ora - , al ritmo abbastanza centrato e soprattutto alle idee di fondo sempre frizzanti e sorprendenti. Miglioramento deciso nella sceneggiatura grazie a dei buonissimi finali che sorprendono o incuriosiscono. Per chi voglia attraversare per la quarta volta lo specchio nero, dirigersi qui.

1 commenti:

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