sabato 7 maggio 2016

Steve Jobs: una storia ai bordi del palcoscenico



Tutti sanno chi sia Steve Jobs: il geniale visionario che mosse guerra all'allora dominatore incontrastato dell'informatica - la IBM - con in mente lo scopo ben preciso di rendere il computer disponibile a tutti, dall'informatico di professione alla massaia. Tutti sanno pure che quella che era stata ripetutamente considerata un'utopia divenne realtà. 

Quello che "Steve Jobs", film del 2015 basato sulla biografia autorizzata dallo stesso Jobs nel 2011 e secondo tra i film biografici dedicati al genio californiano - preceduto da "Jobs" del 2013 - per la regia ispirata di Danny Boyle, riesce a fare non sta nella semplice e arida descrizione dei fatti che portarono Steve da un sogno in un garage della sua casa assieme al fido Wozniak alla ribalta mondiale culminata con parecchie investiture ad uomo dell'anno, quanto piuttosto nell'immergere lo spettatore nel turbinio di emozioni provate dallo stesso Steve nel corso della sua carriera, professionalmente e privatamente. E lo fa in maniera vincente. 

Una continua corsa sulle montagne russe con i loro alti e bassi e con la costante contraddizione tra il genio per il pubblico e il povero uomo - lui stesso dirà "I am poorely made" che significa "Sono fatto male" - nella vita privata; tra l'imprenditore capace di assumere qualsiasi rischio professionalmente e il padre/marito che tenta di schivare qualsiasi responsabilità. Fino ad un certo punto. 

Il tutto sviluppato sulla base di una brillante idea: descrizione dei momenti precedenti a tre importanti presentazioni di prodotti, dense di contatti con tutte le persone che sono state importanti, per le più varie ragioni, per Jobs. 


Il Genio per Le Masse...

Jobs non è un programmatore, non ha scritto il Sistema Operativo che decreterà il successo della Apple; non ha mai assemblato un computer in vita sua; non è nemmeno esperto di hardware o software in generale. Ma sa cosa vuole che il suo staff e le componenti della sua macchina facciano: ha chiaro l'obiettivo sin dall'inizio. E, soprattutto, è in grado di magnificare tutto ciò che la sua mente produce facendolo apparire ingigantito di qualche migliaia di volte agli occhi dello spettatore. Questo il motivo per cui il nome associato a Apple e Mac è il suo, non quello del geniale Steve Wozniak - che creò il sistema operativo - o dell'altrettanto vulcanico Andy Hertzfeld - che scrisse gran parte del software. Con in più la capacità di entusiasmare il CEO dell'allora Pepsi Cola - John Sculley - e convincerlo a rinunciare ad  un contratto milionario per saltare su una giostra che ancora doveva girare e di tenere a bada - almeno fino ad un certo punto - il capo del Consiglio degli Azionisti Mike Markkula. Come lui stesso dice quelli sono "i musicisti"; lui è il "Direttore d'orchestra"

Il film evidenzia - nelle tre presentazioni essenziali della sua carriera - la preparazione a tratti maniacale e talvolta difficilmente comprensibile che Jobs esige per le sue creazioni. Dalla necessità di far dire al Mac "Ciao" - che porterà ad utilizzare un 512 quando ancora si introduceva un 128 - alla volontà di far spegnere le luci che indicavano le uscite di sicurezza per far risaltare maggiormente le presentazioni su maxi schermo - cosa che gli riuscirà solo nel 1998 in occasione dell'introduzione dell'I-Mac -; dall'estrema convinzione nel sistema chiuso - completa incompatibilità delle sue creazioni con altri software e 2 slots soltanto anzichè le 8 propugnate da Wozniack che l'avrà vinta in quel caso - , alla necessità che il suo "Black Cube" abbia angoli perfettamente di 90° - che gli costerà un sacco di soldi in ricerca quando ancora nemmeno aveva un sistema operativo. Il tutto secondo una regola cardine: mai iniziare in ritardo nonostante la concitata preparazione allo spettacolo, densa di rapporti interpersonali. 

Brillante in pubblico, per dirlo in una parola. In tutte e tre le occasioni mostrate: 1983, lancio del Mac il cui fallimento decreterà il suo licenziamento date le vendite di soli 35000 unità in tre mesi contro il milione previste; 1988, presentazione del Black Cube che, grazie al sistema operativo progettato da un suo nuovo adepto sei mesi più tardi, lo riporterà col tempo alla vetta dell'Apple che nel frattempo stava fallendo per mancanza di innovazione; 1998, trionfo con introduzione del I-Mac. 

Sempre guidato dalla costante presenza della sua addetta marketing - Juanna, di origine polacca - che ne costituirà molto spesso anche la coscienza. 

...e il bambino nel privato

A cotanta brillantezza fa però riscontro una mediocrità imbarazzante nel privato. Padre di Lisa - di cui non vuole ammettere la paternità nonostante la prova del DNA la confermi per il 94% abbondante - e compagno della di lei madre Chrisann - sostanzialmente una Hippy con una personalità problematica - , Jobs non vorrà mai accogliere i suoi doveri fino al 1998. Sarà colpito dall'intelligenza della piccola, motivo per cui riconoscerà soldi alla madre che dovrà però sempre implorarlo; non nasconderà però mai il suo disprezzo per lei, colpevole di condurre una vita dissoluta pagando ad esempio 1500 dollari - che negli anni '80 sono un bel gruzzoletto - per far benedire la casa - o di essere una pessima affarista comprando opere d'arte per denaro sonante e rivendendole per poco prezzo. 

Altalena anche nei rapporti con le altre persone essenziali della sua vita. 

Conflittuale il rapporto con l'amico assieme a cui forgiò la sua idea, Wozniak: riassumibile come contrasto tra la praticità "normale" e la creatività "geniale". Se Jobs dovrà in un primo tempo cedere sulla questione del sistema chiuso e del numero limitato di slots - e questa rinuncia decreterà il successo della prima creazione, l'Apple 7 -, successivamente Steve creerà un gruppo di elite nella Apple - il gruppo Mac - che decisamente rinvigorirà la frattura. Nonostante questo, Wozniak si dimostrerà sempre sostanzialmente un vero amico; tuttavia le sue ripetute richieste di menzione per il gruppo Apple 7 rimarranno disattese. Fino a concludersi, nel 1998, con la frase "Non è binario: si può persone decenti e anche geniali"; tremenda stoccata per l'ex amico, accusato di essere in sostanza geniale si, ma di aver dimenticato di essere una persona decente per questo motivo. 

Riappacificazione ci sarà invece con John Sculley, colpevole di avere caldeggiato il suo licenziamento dalla Apple. L'immagine dell'amministratore delegato è sostanzialmente quella di un affarista che gioca comunque sempre pulito e che si vede costretto a fermare nella maniera non voluta i vaneggiamenti di Steve. Il tempo darà però ragione a Jobs: la sua idea vincerà, Sculley sarà licenziato e, alla presentazione dell'I-MAC, i due si lasceranno con una stretta di mano ed il rimpianto per quante cose avrebbero potuto realizzare se fossero rimasti insieme. 



Più amara la conclusione con Hertzfeld, reo di aver pagato la retta per la figlia di Jobs quando questi non voleva farlo come sorta di "punizione" per il comportamento "traditore" di Lisa nei suoi confronti. L'aver caldeggiato le decisioni della madre, l'averla giustificata, l'essersi arrabbiata per una frase proferita da Jobs al tempo - il padre di Lisa potrebbe essere il 28% degli uomini americani, come a dire che Chrisann andava a letto con tal numero di uomini - viene percepito, in maniera piuttosto infantile, come comportamento degno di punizione. La stessa entrata della figlia in una scuola per geni viene liquidata da Steve come dovuta alla sua donazione dell'edificio anzichè ai meriti di Lisa, nonostante Andy sostenesse il contrario. 

Sempre presente, invece, la fida Juanna che, come già detto, avrà la capacità per 19 anni di essere valente consulente marketing ma soprattutto vera amica al punto da mettere a rischio il suo lavoro minacciando Steve di andarsene se non avesse fatto pace - e chiesto scusa - a Lisa. 

Lisa

Merita sezione a parte il rapporto con la figlia Lisa che davvero dimostra come, sebbene col tempo, Jobs sia maturato. Dapprima rinnegata, poi riconosciuta ma solo a fronte della sua genialità. In realtà, sotto sotto, Steve aveva sempre ammesso di esserne il padre; sebbene dicesse che il computer dal nome LISA stava a significare un qualcosa di improponibile - Local Integrated System Architecture, una cosa che sembrerebbe un UFO persino alla NASA - ammetterà poi che il nome era stato preso da quello della figlia. Cui prometterà anche di riempirle le tasche di musica, preannunciando quello che sarà l'I-POD; infine le chiederà scusa e, nella presentazione del 1998, mostrerà un disegno che la piccola aveva fatto nel 1983 usando Mac Paint: a dimostrazione del fatto che non l'aveva mai dimenticata. Il rapporto ne esce bene, insomma.



In conclusione due ore piene che meritano sicuramente visione; anche solo al fine di omaggiare colui che più di tutti - assieme a quell'altro genio chiamato Bill Gates - è responsabile per la macchina con cui questo articolo è scritto.

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