domenica 2 giugno 2019

Unsane: non un film che fa uscire pazzi



Ne hai sentito parlare in maniera entusiastica da amici; sei andato in Internet a vedere le recensioni e i voti della critica specializzata e dei fans; hai letto in soldoni la trama su Wikipedia; l’hai scaricato convinto che si trattasse di un film da non perdere e ti sei affrettato a guardarlo – rigorosamente di notte e con luci spente – e…non l’hai trovato così impressionante. 

Sì, perché Unsane, film del 2018 per la regia di Steven Soderbergh – i vari Ocean seguiti da un numero, giusto per citare qualche sua opera – con protagonista Claire Foy – più serie per il piccolo schermo che film per il grande – per lasciarsi vedere si lascia pure vedere ma alla fine non stuzzica così tanto: o forse le attese erano troppo elevate.

Di seguito alcuni motivi per cui è bene, prima di mettersi comodamente seduti davanti alla TV con pop corn e bibita, non attendersi troppo. 

1- Lento in pensieri, parole, emozioni 

Il film ha una durata complessiva di circa 1 ora e mezza ma le parti realmente emozionanti si possono contenere in circa 5 minuti. Il resto è costruzione un po’ macchinosa dell’antefatto all’inizio e poi lento susseguirsi di scene che dovrebbero esaltare la componente psicologica e la devianza mentale del/i protagonista/i ma che invece finiscono per essere di un banale e di uno scontato che nemmeno Sefora nei momenti di svendita. Si attende sempre quel momento che permetta di sobbalzare sulla sedia e quelle pochissime volte che arriva - solo ed esclusivamente dopo un’ora buona di visione - quasi non si nota più mentre l’attenzione ormai ha divagato. Detto in altre parole: solo gli ultimi 20 minuti risultano sufficientemente avvincenti e non è abbastanza per un film che ambisca a definirsi un thriller psicologico. 

E il peggio deve ancora arrivare. 

2 – Horror? 

Il film dovrebbe essere anche questo: beh, non lo è o non nella maniera giusta

La componente horror si basa infatti su quanto di meno accattivante ci possa essere, ricorrendo a semplici e inflazionati stratagemmi. Cosi: 

- dal punto di vista tecnico ci si affida a qualche inquadratura e qualche scelta di luce non proprio così intimorente; il tutto con qualche spruzzata di sangue che, si sa, ci sta sempre molto bene. La scelta degli ambienti, delle inquadrature, degli effetti – come quello della sorta di “sdoppiamento” che la protagonista sperimenta in seguito all’assunzione di una pastiglia di troppo gentilmente offertagli dal suo stalker – dell’illuminazione assai raramente colpisce; il film diventa un noir vecchio stampo che cerca di portare qualcosa di diverso. Va peraltro sempre ricordato che è stato interamente filmato su un I-Phone, quasi si volesse sperimentare sul tipo di The Blair With Project e che è costato solamente 1,5 milioni di dollari: purtroppo i tempi sono cambiati e quello che impressionava al tempo della strega ora non lo fa più o non in maniera così convincente. 

- si vorrebbe giocare su qualche scena gore e vagamente splatter e si sceglie la via del “vedo” – poco – e “non vedo” – molto -: si sorvola sull’esatta azione che viene compiuta – ad esempio: il taglio di una gamba – e si passa invece al risultato finale credendo che montare la tensione e portare lo spettatore fino al margine dell’accadimento per poi tagliare improvvisamente la scena e lasciarlo ad immaginare possa incuriosire, far ragionare ed emozionare: beh, funziona gran poco onestamente. 

- non si usa per nulla la componente sonora: niente improvvisi crescendo di volume o suoni cupi e tetri a sottolineare i momenti che dovrebbero essere topici. Il risultato è che lo spettatore non viene stimolato a livello uditivo, non viene “preparato” e pertanto l’attenzione non viene focalizzata sulle scene che maggiormente dovrebbero far sobbalzare. 

- anche la componente action che, se sapientemente usata, potrebbe agire bene sul senso di oppressione ed angoscia dello spettatore, viene centellinata e contenuta essenzialmente soltanto nei 5 – se sono tanti – minuti di fuga dallo scarsamente illuminato scantinato in cui la protagonista era stata rinchiusa: un po’ poco davvero. 

- infine la componente strettamente psicologica, evidenziata con continui e lunghi dialoghi – alcuni dei quali comunque di buona fattura – sconta una costruzione ed una sceneggiatura gran poco accattivante ed in definitiva non ha l’effetto di far crescere ansia nello spettatore

Per tirare le somme: se è un horror lo è molto a modo suo. 


3 – La sceneggiatura e la trama 

L’idea di base della trama, sebbene non certo originalissima, è tutto sommato anche buona: amore perverso e mentalmente deviato di David Strine verso la bella Sawyer Valentini, fino ad arrivare allo stalking vero e proprio, che costringe quest’ultima a trasferirsi e trovare lavoro lontano da casa. Ma David non la da su e allora riesce a passarsi per un’altra persona e lavorare presso lo stesso istituto in cui viene temporaneamente ricoverata la ragazza, sospetta paranoica. E non saranno rose e fiori, ovviamente. 

Quello che pecca è la stessa costruzione. Se benissimo vengono esaminate le sfaccettature di questo amore malato da parte dello stalker, passando da attimi di sconforto, disillusione, ira in maniera tutto sommato piuttosto fluida, lo svolgimento è di per sé purtroppo troppo lineare. Non vi sono sussulti e non viene dato allo spettatore “cibo per la mente”; non sorgono domande nel corso della visione ma non perché non ve ne siano di possibili quanto perché il regista sceglie di non porle. E’ chiaro fin da subito che Sawyer non è una malata mentale e che il medico che la impasticca è proprio il suo stalker nonostante nessuno le voglia credere. 

Anche le scoperte che dovrebbero elettrizzare – come ad esempio il fatto che David ha in sostanza ucciso il medico di cui ha preso posto ed identità – non lo fanno perché assumono la forma di risposte per le quali lo spettatore in realtà non si era posto alcuna domanda: tutto questo in quanto il film stesso non si sofferma ad incuriosire sui vari punti, non mostra sfuggenti dettagli che facciano sorgere la questione. Persino una delle scene migliori, quella in cui David conferma sostanzialmente a Sawyer di essere il suo stalker mostrandole di nascosto la posta rubata a sua madre, non emoziona come dovrebbe. Di nuovo: le idee sono buone ma lo svolgimento non lo è altrettanto e l’impressione generale diventa quella di un “saresti bravo ma non ti applichi”. Peccato. 

Da questo punto di vista il finale, con Saywer che sta per accoltellare una persona che gli sembra di spalle essere simile a David cui aveva precedentemente tagliato la gola, serve solo per mostrare che lo shock subito dalla donna è lungi dall’essere superato e, forse, per indurre lo spettatore a pensare che, al di là dell’accaduto, anche la protagonista poi tanto equilibrata non è. 

Conclusioni 

Nobilitato da un cast comunque ottimo – con comparsata anche di Matt Damon nelle vesti di un consigliere personale asettico, pratico fino al limite di essere cinico e del tutto anti emozionale -, con il pregio di tentare una sperimentazione in cui pochi si sarebbero lanciati e con le limitazioni di cui hai parlato diffusamente, vale una visione: tuttavia non resterà certo negli annali della cinematografia mondiale. Per chi desideri farsi stalkerare la direzione è questa: munirsi di I-Phone, prego.

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