mercoledì 15 gennaio 2020

IT Capitolo 2: bello sì, pauroso sì, ma…



…qualcosa non ti ha completamente soddisfatto. Fai pure fatica a capire cosa ma al termine della visione la sensazione è che manchi qualcosa. All’inizio lo imputavi semplicemente al fatto che il primo IT anni ’80 l’avevi visto da piccolino e quindi eri molto più facilmente impressionabile – qui la recensione del Capitolo 1 del 2017 intanto per chi si sia già annoiato dopo due righe -; poi hai pensato che comunque sapevi già stavolta come andava a finire e quindi probabilmente il fascino veniva un po’ meno. 

Ma non era quello. 


Facciamo subito a capirci: IT – o IT: Chapter Two per gli angloparlanti - , film del 2019 diretto dal solito Andrés Muschietti, è una buonissima pellicola con tanti punti forti. Per farla breve piacciono molto gli effetti speciali e piace molto anche la componente horror di cui parlerai tra poco; non è male nemmeno la trama anche se con alcune debolezze; infine l’interpretazione del buon Bill Skarsgård rimane notevole anche in questo secondo capitolo. Poi però ti rendi conto di alcuni aspetti che un po’ te le lo fanno scendere. 

L’horror 

Ti piace. Sapiente è l’utilizzo di luci ed ombre e ottima la scelta di secchi contrasti senza alcun passaggio intermedio tra oscurità totale e luce più vivida – il perfetto esempio è la casa degli specchi in cui si trova Bill ad un certo punto -; ottime sono le tinte sempre fredde e staccate mescolate in praticamente tutte le scene al nero più cupo – che rivelano un’impostazione che piuttosto di frequente si vede anche nei videogame odierni come questa cosa qui- ; fanno la loro pure gli screamers, vari nelle tipologie – ma non nelle dinamiche, ci torni poi - e tutto sommato abbastanza impaurenti; contribuiscono gli effetti speciali in generale sia quando si tratti di darci giù di CGI per creare ed animare modelli di mostri inquietanti sia quando si preferisca giocare sull’ambiente distorcendolo, scomponendolo e ricomponendolo in modi sempre incomprensibili e spiazzanti; infine conforta il sonoro fatto di rumori ambientali potenti e sottofondi inquietanti ben variati nelle dinamiche. 

E ti piace anche la varietà delle scene che non sai, visto che non lo hai mai letto, se possano derivare dal libro di Stephen King. Devi ammettere che la rimpatriata della Banda dei Perdenti 27 anni dopo nel ristorante cinese con biscotti della fortuna a cui spuntano gambe per poi muoversi come ragni, occhi che prendono vita, pipistrelli, mostri con faccia umana, ti ha colpito il giusto; oppure la scena della visita di Beverly alla Sig.ra Kersh - che abita ora la casa a Derry dove lei stava col padre - e conseguente wendigo-like trasformazione ti ha impressionato. E questo solo per fare due esempi di come la tecnologia moderna abbia consentito un plus notevole rispetto alla produzione degli anni’80 e di come il regista la abbia saputa sfruttare nella maniera giusta. 



Poi però arrivano anche i punti dolenti. 

Innanzitutto struttura e dinamica delle scene horror sono sempre – ma proprio sempre - le stesse. Si comincia con una salita verso le vette dell’orrore con il protagonista che nota un piccolo particolare inconsueto; si continua con la manifestazione del pericolo con uno screamer; tocca poi al massimo del pathos che si trasforma in una lotta oppure un tentativo di fuga; a questo punto inizia la parabola discendente che termina sempre in maniera improvvisa allorchè il personaggio si sveglia dalla allucinazione o, più semplicemente, di colpo IT molla la presa. Perfettamente funzionale alle intenzioni del mostro che si nutre della paura e si diverte quindi a “torturare” emotivamente le sue vittime; dopo un po’, però, lo spettatore più attento sa perfettamente quanto andrà a succedere ossia che la scena durerà qualche attimo e che tutto scomparirà altrettanto velocemente: questo toglie un minimo di sana scossa impaurente. 

Oltre struttura e dinamica, anche la frequenza delle scene horror è un piccolo problema. La serie degli anni ’80 aveva – forse anche per la tecnologia di allora che certo non era paragonabile a quella di adesso e non conosceva la CGI – poche scene realmente impaurenti separate da lunghi intermezzi in cui si narravano le vicende di protagonisti o si riportavano le loro osservazioni, i loro ragionamenti, i loro dialoghi; l’odierna produzione non fa davvero passare più di 5 minuti prima di introdurre una nuova scena horror. Non ne vuoi discutere certo la qualità ma l’effetto complessivo è che “il troppo stroppia”: se le scene degli anni ’80 rimanevano bene impresse nella memoria anche perché abbastanza poche, riproporne in continuazione, sia pure con la loro indubbia varietà, contribuisce a renderle meno memorabili. In altre parole: la quantità – anche se accompagnata in questo caso alla qualità – comunque abbassa la percezione emozionale dello spettatore che, in un film in cui lo stesso mostro gioca con le sensazioni ed emozioni, è componente piuttosto importante. 



IT: chi è costui 

Non ricordi la Serie degli anni ’80 ma credi che quella odierna dia qualche indicazione ulteriore sulle origini, le caratteristiche e la natura dell’ameno pagliaccio. 

IT arrivò sulla Terra in tempi antichissimi, probabilmente molto prima della comparsa dell’uomo, in una sorta di meteorite; cominciò però a manifestarsi soltanto nel 18esimo secolo quando una tribù di nativi americani, gli Shokopiwah, ebbe il piacere di fare la sua conoscenza nella sua bella forma di insetto aracnoide umanoide. Non si sa bene come ma tale tribù comprese che per fermarlo/a – non si sa il suo genere, in effetti anche se sembra riferirsi a se stesso al femminile – fosse necessario un rituale, chiamato di Chud: bisognava raccogliere oggetti che rappresentassero i ricordi delle specifici delle persone che vi erano venuti in contatto, bruciarli dentro ad apposito vaso con iscrizioni oscure e nel mentre pronunciare una formula del tipo “Il passato deve bruciare assieme al presente”. Il tutto credendoci davvero, altrimenti IT ti massacra come toccò agli Shokopiwah: lo scontro viene infatti descritto come una “battaglia di volontà” in cui la più forte prevale. 

IT si definisce “la mangiatrice di mondi” e, da quel che se ne capisce, è un mutaforma, ossia un essere la cui vera forma sarebbe quella dei “Pozzi Neri” – sfere di energia che fluttuano in cui la luce e l’oscurità coesistono – ma che può assumere tutte quelle che preferisce essendo però vincolato dal fatto che “gli esseri viventi devono rispettare le regole della forma che assumono” – ossia, se ad esempio diventa vampiro, deve accettare di poter essere ferito da croci e altri simboli religiosi -; possiede la capacità di leggere nelle menti che sfrutta per scoprire le paure – di cui si ciba, specialmente quelle dei bambini in quanto più facilmente suggestionabili – e provocare allucinazioni – anche collettive – a tema; adora agire stealth, comparendo sempre all’improvviso per poi diventare via via più minaccioso e infine scomparire – talvolta non prima di aver divorato fisicamente o mutilato in altra maniera qualcuno – altrettanto repentinamente e fare forte uso dell’ambiente circostante – reale o più spesso fittiziamente da lui creato – per montare l’angoscia della vittime. E’ un sottile manipolatore ed un inguaribile – ma non romantico – bugiardo. 

Aggiunge a tutto questo una forte capacità di condizionamento delle persone anche al di là della semplice paura: è il caso di Henry Bowers che ne sente la voce e impazzisce uccidendo il padre da giovane e tentando a ripetizione di far fare la stessa sorte ai protagonisti da adulto e rinchiuso in un manicomio criminale; oppure quello della stessa Beverly che, unica in quanto sola ad avere guardato i Pozzi Neri, ancora dopo anni continua ad aver incubi sulla morte sua e dei suoi amici. La sua presa, tuttavia, diventa minore più ci si allontana da Derry e difatti i protagonisti tendono a dimenticare il passato: al ritorno nella cittadina del Maine, però, i ricordi, paurosi come un tempo, ritornano. 

La sua forma prediletta è quella di Penny Wise, ossia un pagliaccio da circo e – ma potrebbe essere una bugia – probabilmente l’ha mutuata dal padre della Sig. Kersh, emigrante che a fine 18esimo secolo aveva dato origine al personaggio lavorando in un circo; quella in cui viene sconfitto dai protagonisti e in cui appare originariamente agli Shokopiwah è un aracnide umanoide con gambe allungabili. 



La struttura 

Se fino a questo punto ci sono dei difettucci ma nel complesso la visione è consigliatissima, adesso arriva quello che a tuo parere può costituire un punto debole più marcato anche se molto soggettivo. 

Il film dura qualcosa come 2 ore e 40 minuti; ci si mettono circa 45 minuti per riunire i Perdenti – ok, fa sempre molto impatto la vicenda di Stan che decide, in preda al terrore più totale, di suicidarsi tagliandosi le vene in una vasca da bagno - e poi essi ci impiegano quasi 1 ora e mezza, tra allucinazioni e ricordi del proprio passato, a convincersi che forse è il caso di andare a caccia di IT. Sicuramente, anche grazie agli effetti speciali, quel periodo del film intrattiene; tuttavia appare davvero una costruzione troppo lunga, prima di arrivare, a 53 minuti dal termine, alla fase finale. Se poi si considera che almeno buoni 20 minuti sono dedicati al dopo uccisione – forse – del mostro, si comprende come l’incontro faccia a faccia con IT duri davvero poco nell’economia complessiva della pellicola. In compenso l’arcilungo finale è davvero emozionante con tanto di frase strappalacrime, tratta dalla lettera-testamento di Stan, a far riflettere: la forza dei perdenti è che non hanno nulla da perdere e loro sono i perdenti e lo saranno sempre – e fieri di esserlo pure, aggiungeresti -. 

Conclusioni 

Per farsi guardare si fa guardare ma punta davvero molto sull’effetto scenico da combinare ad una trama che non si può discutere vista la fonte; tuttavia pecca un po’ di lungaggine e tende a far fatica ad intrattenere oltre i notevoli effetti speciali. Rimane comunque un must per gli appassionati del genere e per tutti coloro che, come te, sono rimasti sanamente traumatizzati durante l’adolescenza da un pagliaccio dalle tendenze un po’ anomale. Accomodarsi, signori e signore, Derry è qui.

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