sabato 17 novembre 2018

Upstream Color: quando vedere conta più che parlare



Per te che ormai sei abbastanza abituato a mettere giù un paio di parole senza alcuna pretesa di professionalità su quello che vedi dovrebbe essere anche abbastanza facile. Di solito, quando ti accingi a vedere un film, una bella pagina bianca con matita facilmente cancellabile ti accompagna: in questa maniera segni facile i punti notevoli, quelli un po' meno notevoli e quelli su cui vuoi documentarti. 

Ecco, quando hai visto Upstream Color, film del 2013 di Shane Carruth - uno che aveva fatto anche questa cosina qui e motivo principale per cui ti sei voluto sciroppare questa pellicola di circa 96 minuti - il tuo foglio è praticamente rimasto bianco. Non sapevi cosa scriverci; non capivi nemmeno bene cosa stavi vedendo e avevi solo la sensazione di star perdendoti mentre la trama procedeva. 

E poi? E poi non eri sicuro di scriverci alcunchè, finchè, dopo sana dormita, hai deciso che lo fai. 


La prima cosa che ti ha colpito del film è stata la parsimonia dei dialoghi. Ok che i personaggi sono davvero pochi - ne puoi contare 4 di principali più qualche comparsa - ma comunque davvero provare a desumere la trama dalle loro parole è difficile. 

Sopperiscono piuttosto le immagini, forti di una regia largamente suggestiva. Capisci la storia a quel punto? No, hai dovuto rivedere di nuovo il film mentre ti gustavi assurde sonorità ripetute e anche piuttosto fastidiose che però entravano in testa come un chiodo di Hellraiser. 

Arrivi così a capire che la protagonista femminile Kris, interpretata da una splendida Amy Seimetz - Alien del 2017, tanto per dirne uno - viene catturata fuori da un club da uno spostato che utilizza delle larve per controllare le persone - tramite ultrasuoni sembrerebbe -; finisce per seguire tutti i suoi ordini e per prosciugare il proprio conto in banca prima di essere abbandonata in un autostrada come un cane. Nel frattempo, per sua fortuna, ha incontrato un altro tizio che le ha estirpato la larva facendo una trasfusione con una maiale che le è però costata l'infertilità. Conosce poi Jeff, parimenti sottoposto al folle esperimento larvale e il film si snocciola nel tentativo dei due innamorati di recuperare la memoria di quanto accaduto che hanno perso. Ci riescono e Kris uccide pure il larvaio; nei suoi appunti scoprono la lista di tutti quelli che sono stati abdotti e mandano loro un libro di Walden - i cui versi erano stati citati da Kris e Jeff, non si sa bene per quale motivo, in precedenza - al fine di richiamarli alla fattoria, spiegare loro la verità e inaugurare una nuova conduzione della stessa, rispettosa verso i maialini che prima venivano usati come cavie e poi uccisi. 

Non puoi proprio dire di più perchè è il film davvero a non dire altro. 

Il capolavoro di Carruth sta nella maniera in cui lo fa, con una serie di immagini che vogliono dire tutto e niente al contempo; come dare dei colori e una tela bianca con solo i puntini da unire e lasciare allo spettatore dipingere, secondo la propria personale percezione, l'opera. Con maialini che vengono affogati e ti salta lo schifo; rilasciano poi uno strano liquido blu che colora delle orchidee che crescono in un fiume; con un tizio che registra ed edita suoni assurdi come quello di rocce che crollano o di lime; con due personaggi principali che continuano a sorprendere per ogni loro azione, apparentemente insensata, e ogni loro parca parola. Un'accozzaglia di scene che si fatica forte a mettere insieme, apparentemente senza alcuna connessione talvolta: eppure forti, evocative e decisamente sinistre. 

Talmente complicato che nemmeno riesci a catalogare in una categoria questa pellicola; sai però che genera lo stesso tipo di sensazione che cosette come Twin Peaks o gli altri film di Lynch generano. 


Ti fermi qui perchè davvero non sai cosa altro scrivere e mai come stavolta sono molto graditi commenti nello spazio sotto dedicato. Per chi voglia perdersi nel colore, ecco la direzione della fattoria.

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